MALACLIPTICOPTIROSI
Una delle scene più celebri e divertenti del film di animazione La spada nella roccia (1) è senza dubbio il duello di magia tra Mago Merlino e Maga Magò. I due si sfidano trasformandosi in diversi tipi di animali fino a quando Magò, barando rispetto alle regole prestabilite, si trasforma in un enorme drago viola e cattura Merlino -in quel momento un piccolo topolino- e pensa di aver vinto. Ma aprendo le mani scopre che questo è scomparso. Sarà morto? No, si è solo fatto piccolo, talmente piccolo da diventare invisibile, microscopico, ed è proprio questa sua dimensione ridotta ai minimi termini che ribalta le sorti della battaglia: “Sono il germe di una malattia molto rara, il suo nome è Malaclipticoptirosi e tu mi hai preso Magò!”.
In tempi di pandemia l’intuizione brillante di Merlino fa riflettere in modo diverso, forse meno scanzonato, e ancora di più colpisce come Alberto Tadiello abbia scelto questo titolo -Malaclipticoptirosi- per la sua prima mostra personale post-lockdown in cui riunisce un corpus di lavori realizzato nel corso di questo così particolare 2020. Per la realizzazione delle opere in mostra l’artista ha seguito una condotta precisa: ha lavorato solamente con quello che aveva a portata di mano nel suo studio (2), con gli elementi, gli appunti, i materiali a disposizione senza poter/voler aggiungere nulla di più. Un’etica severissima come la definisce lui stesso facendo riferimento ad una metafora alpinistica: “in montagna, in parete, quando c’è poco-niente, si è costretti ad andare alla ricerca della via più facile, che ovviamente facile non lo è per nulla! Ma questo è un principio che impone di muoversi secondo una logica che risparmi le energie, che sia lucida e volta al sogno di una riuscita, con tecnica ineccepibile, sotto un segno privativo, rimanendo sempre pienamente consapevoli della propria vulnerabilità”.
Il risultato di questa metodologia è un’estetica apparentemente più scarna, che riflette sulle forme e sulle forze alla base della pratica artistica, in cui tutti i lavori sono accomunati da una caratteristica comune: ruotano attorno ad un centro vuoto. Al centro degli spazi, delle bocche, delle cupole, delle parabole sembra non esserci niente. Eppure questo vuoto, questa assenza, ha un fortissimo valore plastico, quasi scultoreo che nello spazio della mostra è occupato dalla presenza fisica dei cavi, che avvicinano e quasi tirano e connettono i lavori uno all’altro.
Alle pareti il trittico Ossicodone (2020) realizzato su pannelli di truciolare pressato su cui sono stati scavati, incisi, erosi ed insistiti volti concentrici che in una sorta di “girone sinestetico” -come lo definisce lo stesso artista- mischiano occhi, bocche e narici (3). In questo vortice tumultuoso le caratteristiche fisiognomiche non sono più distinguibili, i volti diventano maschere di stupore, teste di animali, quasi ingoiano chi li guarda. Le opere sono realizzate con matite colorate, pastelli ad olio, rossetti, cere, carboncini, grafite, cenere, impregnante, insomma tutto quanto a portata di mano dell’artista nel suo studio e utile a questa azione fisica potente, performativa e a tratti violenta, di sovrapposizione ripetuta dello stesso disegno. Leggo queste opere come proseguimento o naturale evoluzione del ciclo Inoculati, presentato per la prima volta al MAMbo di Bologna nel 2018 (4) , in cui le grandi tavole erano occupate da un solo volto ciascuna con la stessa ripetitività meccanica, ostinazione di segni, perpetuarsi di un’ossessione cava e profonda. Nel 2018 Alberto Tadiello le descriveva così: “sono dei grandi volti sgomenti, bocche divelte e cave come imbuti pieni di sonorità, di sibili, di boati. Sono espressioni febbricitanti, terroristiche, in un gioco di forze orarie e antiorarie, centrifughe e centripete. C’è anche un grande investimento fisico nella realizzazione di questi pannelli; lo si legge ripercorrendo con gli occhi la pressione delle linee, l’erosione dei colori. Sono sforzi nati sotto il segno di una imperiosa necessità, realizzati tutti in un mese dopo quasi tre anni di ricerca”. Alcuni dei riferimenti visivi e mnemonici alla base di queste opere sono “i mostri di Ulisse Aldovrandi (5) , le creature alpine di Johann Jacob Scheuchzer (6), la fissità di sguardo dei rapaci notturni, ho sovrapposto vagoni di volti metropolitani, ho studiato allucinazioni ed emicranie. Sono ritratti che mimano le traiettorie vorticose delle particelle atomiche in fusioni e fissioni nucleari, ricordano manovre di rotazione dei droni, rilanciano alla profusione quotidiana delle emoticon nei display dei cellulari. C’è qualcosa di cannibale, di erotico, di sporco. Come i gargoyle, hanno un grande potere di aggettanza spaziale, di invadenza spiritata. Mi piace pensare che il centro dell’immagine sia in realtà un grande vuoto, una grande paura”.
Ho sempre pensato a questa produzione come ad uno sviluppo degli studi sonori a cui Alberto Tadiello si dedica da tempo, mi riferisco in particolare alle sperimentazioni sulla sovrapposizione ossessiva e ripetuta dello stesso file audio, dove di volta in volta la partenza viene spostata solamente di pochi decimi di secondo. Il senso generale della traccia non si perde, ma al suo interno si insinua uno stato di tremore, di vibrazione, di fuori fuoco. L’effetto è quello di un processo di invecchiamento accelerato, sgranato, vagamente ipnotico (7). Rimane una fisionomia integra del pezzo, ma si instaura un singolare rimbombo, come una fuga, una risonanza. Nelle sculture a parete Blind #1 e Blind #2 (2020) queste caratteristiche sono evidenti: sono teste, sistemi nervosi elementari, apparati che riverberano suono e luce. L’audio è un gracidare di più voci sincopato, proveniente da campionature effettuate ai richiami delle raganelle, che fuoriesce da bocche spalancate di teste completamente cieche. Citando una sollecitazione visiva dell’artista: “non posso non pensare alla Parabola dei ciechi di Bruegel vista a Capodimonte. Hai presente come ti inchioda il personaggio sulla destra, quello che ostinatamente sembra fissare l’osservatore? È un incubo difficilmente dimenticabile”.
La prima opera di Alberto Tadiello in cui mi sono imbattuto risale a molti anni fa, si tratta di USB (2007) (8), un’installazione sonora che, attraverso l’utilizzo di apparecchiature elettroniche, permetteva la trasposizione in suono di un impulso elettrico continuo derivato dallo scorrimento linfatico interno agli alberi. L’opera rendeva udibile il suono della linfa interna alle betulle del parco davanti al museo; mi piace pensare che quella tensione, quella continua auscultazione, non si siano mai interrotte e attraverso opere come Inoculati e Ossicodone continuino il proprio flusso produttivo e a stupire e a spaventare come un piccolo insignificante germe capace di domare un grande drago viola.
(1) La spada nella roccia (The Sword in the Stone) è un film di animazione del 1963 diretto da Wolfgang Reitherman, prodotto dalla Walt Disney e distribuito dalla Buena Vista Distribution
(2) Dal 2015 l’artista ha impiantato il suo studio in provincia di Belluno, in un ex-panificio ai piedi delle Dolomiti
(3) Due opere di questo trittico sono state presentate in precedenza al Museo Burel di Belluno nella mostra Diversi, a cura di Daniela Zangrando, 12 giugno – 1 agosto 2020
(4) Il ciclo faceva parte della mostra That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine, a cura di Lorenzo Balbi, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 22 giugno 2018 – 6 gennaio 2019. Una delle tavole del ciclo Inoculati, entrata nella collezione permanente del MAMbo grazie al sostegno di Philip Morris Italia alla biennale doutdo è attualmente esposta nella sezione Officina d’Arte Italiana
(5) Il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), naturalista e botanico, è autore di uno dei testi illustrati più noti, in materia di mostri: la Monstrorum Historia, pubblicata postuma nel 1642
(6) Johann Jakob Scheuchzer (Zurigo, 1672 – 1733) è stato un naturalista e medico svizzero, noto per la sua interpretazione dei fossili, che riteneva vestigia del Diluvio universale
(7) In particolare, in riferimento a questa ricerca, si guardi la serie EPROM (2008), presentata nel 2010 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel contesto della T2 – Torino Triennale. 50 lune di Saturno, a cura di Daniel Birnbaum, 17 ottobre – 5 novembre 2010
(8) L’opera, attualmente nella Collezione AGI di Verona era stata prodotta e presentata per la mostra Silenzio. Una mostra da ascoltare, a cura di Francesco Bonami, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 1 giugno – 23 settembre 2007
Lorenzo Balbi, Malaclipticoptirosi, MALACLIPTICOPTIROSI, Vienna 2021. (catalogo della mostra)